L’arcivescovo Ricchiuti. «In cammino per suscitare un sussulto delle coscienze».

Mai, arrendersi, mai. Mai, di fronte alla tentazione di ritenere inevitabili le armi e la guerra. Mai, di fronte all’assopimento delle coscienze. Domenica sera il presidente di Pax Christi, l’arcivescovo Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura- Gravina-Acquaviva delle Fonti, è stato costretto a un altro genere di “resa” e non è riuscito a partecipare alla Marcia per la pace da Calusco d’Adda a Sotto il Monte. Un “infortunio” alla gamba, non grave ma doloroso, dopo alcune notti in bianco lo ha costretto alla resa, con un dispiacere pari a quello del capitano della squadra costretto a dare forfeit a una manciata di ore dal derby, dopo aver stretto i denti invano. Così ha salutato gli amici di Pax Christi, i vescovi di Bergamo Francesco Beschi e l’emerito di Ivrea Luigi Bettazzi («Emerito non mi piace, di solito è associato a sostantivi poco simpatici»), a cui l’età non ha tolto la battuta fulminea: «Io alla Marcia di oggi non ci sarò, purtroppo, e neanche a tutte le prossime 50; ma tu, don Luigi, ci sarai…». «Non posso dire, non ho con me l’agenda».

Qual è stato il messaggio della Marcia del cinquantenario?
Vorrei ricordare innanzitutto il titolo del convegno che ha preceduto la Marcia: «Alienum est a ratione», una frase della Pacem in terris67, che completa suona così: «È pura follia che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia».

Un appello alla ragione, dunque. Eppure sono in tantissimi a ritenere ragionevole, utile, inevitabile tale follia. E perfino a desiderarla…
Noi siamo venuti qui per cercare di suscitare un sussulto delle coscienze. Sono convinto che, in realtà, i popoli non vogliano affatto la guerra. Ma la loro voce non giunge dove dovrebbe giun- gere, a chi dalla guerra ricava profitti. E allora le coscienze vanno scosse, per tornare a interrogarci sulla non ragionevolezza di quella che ad alcuni appare la soluzione più sbrigativa: gli eserciti, le armi, la violenza. Scuotere le coscienze di tutti, a cominciare dalla gente comune, non solo i governi o i vertici finanziari, ossia i “poteri forti”. La gente comune è la prima vittima di una informazione orientata da quei poteri. Abbiamo bisogno di controinformazione!

Coscienza critica, dunque. Lei sa che neppure il mondo cattolico è compatto sul modo in cui considerare armi e guerra?
Quando dico scuotete tutte le coscienze, intendo anche e soprattutto la coscienza ecclesiale. Dobbiamo ascoltare san Giovanni XXIII, sotto la cui intercessione ci siamo riuniti; e papa Francesco, che nella consapevolezza di essere il successore di Pietro, chiamato a guidare la Chiesa, vede e ci spiega che armi, violenza e guerra generano soltanto ingiustizie, flussi migratori, muri e filo spinato… Vede e ci ripete che tutto ciò non è Vangelo. Il Vangelo è dove la dignità della persona è promossa, non vilipesa. E la Buona Notizia è che Dio ama questa umanità, e l’unica strada è la fraternità, nel senso più ampio. Avremmo bisogno di più “gambe” per far viaggiare questo messaggio.

C’è un problema di scarsa ed errata informazione?
Certo. I laici, con le loro aggregazioni e noi vescovi non dovremmo perdere occasione per ripeterlo, contestando un certo modo di pensare e di agire. Alcune testate giornalistiche si mostrano sensibili, ma il coro canta tutt’altra canzone.

Sotto il Monte, dove è nato Roncalli, recente patrono dell’Esercito. Una decisione che Pax Christi non ha digerito e non ha mancato di dirlo. Sempre della stessa idea?
Sotto il Monte è stato un punto di arrivo provvidenziale, perché la Marcia inizialmente era prevista altrove. Certo che parliamo, e parleremo. Quella decisione improvvisa, perché non ne sapevamo niente, è stata accolta da un velo di silenzio che io considero un 'non assenso'. Mi sono domandato e continuo a domandarmi: che cosa c’entra san Giovanni XXIII con l’Esercito?